Please use this identifier to cite or link to this item: http://hdl.handle.net/10174/23492

Title: Il 1848. L’oggetto della teoria marxiana?
Authors: Viparelli, Irene
Issue Date: 2011
Citation: 2011: «Il 1848. L’oggetto della teoria marxiana?», in D. Losurdo, J. Barata-Moura, S. Azzarà (Eds.), Universalism, National Question and Conflicts Concerning Hegemony. Napoli, La Città del Sole, pp. 125-139 (ISBN 978-88-8292-465-2).
Abstract: Il presente articolo si propone di riflettere sullo specifico “valore teorico” delle riflessioni marxiane relative alla rivoluzione del 1848. A nostro avviso infatti, tra le righe della miriade di articoli scritti da Marx tra il 1848 e il 1854, è possibile rilevare due principi che, trascendendo l’analisi della specifica congiuntura europea del 1848 e descrivendo il rapporto generale tra crisi economiche del capitalismo e congiunture rivoluzionarie, si candidano ad essere gli elementi costitutivi di una “teoria marxiana della rivoluzione proletaria”. Il primo principio definisce la crisi economica come “pura condizione di possibilità” della rivoluzione, escludente ogni causalità immediata e determinista: se era stata la crisi economica inglese degli anni 1845-47 a imporre lo scoppio delle rivoluzioni nel continente europeo, la medesima crisi non aveva invece scosso la “pacifica Inghilterra”. Il secondo principio, complementare e funzionale alla specificazione di tali possibili “reazioni differenti” alla crisi, è quello dell’ “intensità della crisi”: l’Inghilterra, al contrario delle nazioni continentali, era sfuggita alla rivoluzione perché la conflittualità di classe non aveva raggiunto, né a livello sociale, né politico, né ideologico, un elevato grado di intensità. Althusserianamente potremmo quindi dire che per Marx la crisi non si dà mai nella sua “purezza economica”, ma invece si manifesta storicamente sempre come un processo complesso di radicalizzazione degli antagonismi ad ogni livello della totalità sociale; conseguentemente la possibilità della rivoluzione risulta essere vincolata al grado di intensità raggiunto, in ogni nazione, da tale processo. Tale “dimensione sovrastrutturale” però, ben lungi dal fondare, come vorrebbe Althusser, una “teoria congiunturale della rivoluzione”, si inserisce piuttosto in una concezione intimamente dialettica del processo rivoluzionario, concepito come “superamento dialettico” della dialettica di capitale e lavoro salariato. La rivoluzione infatti scoppia necessariamente in un contesto nazionale determinato e si afferma come evento-rottura; ma tale dimensione congiunturale, ben lungi dall’esaurire la dinamica rivoluzionaria, ne costituisce soltanto la semplice premessa: l’ “astratta generalità” della crisi economica, superata nella posizione delle specifiche congiunture nazionali particolari, si deve riaffermare infine come crisi generale del capitalismo, negazione tanto dello “spazio-nazione” quanto dell’immediato “tempo evento” della rivoluzione. Il processo rivoluzionario quindi, se si presenta “immediatamente” come relazione dialettica tra le forze rivoluzionarie e le forze controrivoluzionarie all’interno della nazione, in verità è “segretamente” vincolato ai rapporti di forza tra rivoluzione e controrivoluzione sul piano internazionale: solo se, attraverso il suo movimento espansivo, riesce a conquistare una dimensione “universale”, sconfiggendo la borghesia sul terreno internazionale, può realizzare, “alla fine”, il suo essenziale essere momento di rottura radicale nel continuum storico.
URI: http://hdl.handle.net/10174/23492
Type: bookPart
Appears in Collections:CICP - Publicações - Capítulos de Livros

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